Emily in Paris a Roma? L’Italia non è più quella, ma se all’estero piace immaginarlo, va bene così
Bel tempo, pranzi in piazza, panorami sempre perfetti: Emily in Paris immagina una Roma e un’Italia d’altri tempi, ispirandosi al cinema in bianco e nero che ci ha fatto conoscere. Manca la connessione con il presente, ma pazienza: i problemi della serie sono altri
Nel pieno del successo di “C’è ancora domani” leggevo un’intervista ad un’addetta del settore legato alla distribuzione cinematografica, che spiegava che il film di Paola Cortellesi non avrebbe avuto troppi problemi ad essere venduto al mercato estero per come il format del film utilizzava un immaginario, quello del neorealismo in bianco e nero, per mettere in scena una storia dai connotati invece più contemporanei.
Il pubblico straniero, quando si parla di cinema italiano, pensa subito a quelli che anche per noi sono classici, film come “Ladri di biciclette”, “Roma città aperta”, “Pane amore e fantasia”, “La dolce vita” e così via. Tutti film accomunati dall’essere stati girati in bianco e nero. All’estero, c’è poco da fare, quando pensano all’Italia se la immaginano ancora così: e se avete visto Ripley su Netflix, potete capire di cosa parliamo.
Questa premessa è doverosa per parlare della seconda parte di Emily in Paris 4, uscita oggi, giovedì 12 settembre 2024, proprio su Netflix e presentata in pompa magna a Roma. La nostra Capitale è infatti protagonista degli ultimi due episodi, con tanto di trasferta italiana non solo della protagonista Lily Collins ma di gran parte del cast principale.
L’Italia che Darren Star (creatore della serie) e Netflix hanno voluto esportare tramite la romantic comedy è però assolutamente lontana dall’Italia di oggi. Con Emily in Paris ambientato a Roma si è voluto ricreare un mondo, quello dell’Italia di “Vacanze romane” (dite a Emily però che girare per Roma in Vespa potrebbe essere un problema se non vedi le buche), ma anche quello della provincia di una volta. Un immaginario che molti di noi italiani probabilmente non hanno neanche mai vissuto, ma che è vincente quando si deve parlare di noi all’estero.
Certo, manca il bianco e nero dei classici sopra citati: effettivamente, per quanto la trasferta italiana di Emily Cooper sia un evento straordinario all’interno della serie (che per la prima volta gira in una location fuori dalla Francia), sarebbe stato un po’ troppo togliere colore agli episodi, considerata anche l’importanza degli abiti di scena che, in bianco e nero, non avrebbero potuto avere lo stesso impatto visivo. Eppure, a parte questo, ciò che la produzione della serie ha fatto è stato, visto con gli occhi dei non italiani, estremamente fedele alla realtà. La loro o, meglio, la loro immaginazione.
I pranzi delle 13:00 in piazza nell’immaginario borgo di Solitano (le riprese si sono svolte in realtà ad Ostia Antica), le case che, non importa dove si trovino, ma affacciano sempre su panorami totali della città, un clima di perenne tarda primavera con un sole mai troppo caldo: l’Italia di Emily in Paris è con ogni probabilità l’Italia che vorremmo anche noi.
Eppure, funziona: questo tradimento della realtà, a favore di un’immagine evidentemente stereotipata della nostra Nazione (cosa che accade di meno con l’ambientazione parigina, in cui per forza di cose si sono dovuti abbattere i cliché) crea una dimensione altra, quasi magica, in cui Emily si rifugia. E a proposito di magia, la protagonista deve avere evidentemente il superpotere di riuscire a far parlare in inglese fluente chiunque le capiti davanti, anche in Italia.
Un “piccolo mondo antico” che, in fin dei conti, non ci deve infastidire: la Roma che Netflix ha voluto esportare appartiene a canoni ben precisi e già noti, che fanno del nostro Paese il luogo del relax perfetto, del buon cibo, del bel tempo e delle occasioni per ricominciare da capo. Un luogo in cui, anche noi, vorremmo finire.
Se Emily in Paris 4 può dunque concedersi questa “licenza italiana”, quello che è ormai diventato insopportabile all’interno della serie è la facilità con cui le situazioni si svolgono: problemi a cui si trovano soluzioni nell’arco di mezzo episodio, la protagonista sempre pronta ad improvvisare con i clienti un piano di marketing che -guarda caso- si rivela vincente, accesso ai luoghi più chic come se fossero centri commerciali. La magia italiana può passare, ma la superficialità della sceneggiatura, soprattutto per una serie che meriterebbe maggiori accortezze per la sua bontà d’intenti, no.